di Francesca Napolitano
Esiste un rapporto bellissimo riferibile agli aspetti psicologici dell’arte cinematografica, cioè quello tra cinema e fantasia. Se vorremmo tradurre schematicamente e in maniera semplicistica, diremmo che con la fantasia si pensa, con il cinema si elabora. A riguardo, Franco Zeffirelli che è stato anche un disegnatore, scenografo e sceneggiatore, proprio pensando al cinema, sosteneva una tesi a parer mio più che giusta e veritiera e che ci dovrebbe far riflettere a spronarci ad andare oltre quella famosa superficie, per essere così gli autori della nostra vita.
Ho passato una vita a cercare il bello. Non quello evidente, pacchiano, invadente. Quello che ci viene imposto dalle regole sociali. Quello che l’industria dell’estetica decide di anno in anno, di stagione in stagione. Ho cercato il bello che vive nei miei sogni.
Partendo dal pensiero del regista occorre soffermarsi proprio sul sogno. Quando parliamo dei sogni, inevitabilmente siamo catapultati nel mondo della fantasia: questo spazio intimo, personale, in cui poter inventare immagini mentali, situazioni animate, luoghi surreali, personaggi bizzarri, che nella maggior parte dei casi ci fanno star bene e ci riportano così inconsciamente ad essere un po’ bambini. A parer mio e sotto questo punto di vista, una delle arti più efficaci, immediate, che ha capito subito come poter narrare la fantasia è stato il cinema. Fin dalle origini del cinema e ancor prima di Griffith, quando le pellicole erano ancora qualcosa di sperimentale, c’è stato quel bisogno di evasione verso l’illusione. Edwin Porter ad esempio, pioniere cinematografico americano, famoso per il suo The great train robbery – Il grande assalto al treno del 1903 in cui nella scena finale esce il bandito a mezzo busto che con la pistola si rivolge verso la macchina da presa, suscitando non poco scalpore. Ebbene, lo stesso regista nel 1906 esce con un lavoro diverso, divertente, ma che riguarda perfettamente il nostro argomento sulla fantasia, ed è The dream of a rarebit fiend- Sogno di un fanatico di formaggio. È la storia di un uomo che ha mangiato pesante, patisce l’incubo di ruotare sul letto, volare sopra New York, finisce sulla banderuola di un campanile di una chiesa dove poi cade sul letto e finalmente si sveglia. È un esempio di trucchi ed effetti speciali, a cui Porter si è ispirato tantissimo ad un altro grande genio questa volta francese Georges Méliès. A Mèliès si dà il merito di essere stato un vero creatore dello spettacolo cinematografico, infatti a lui non interessa la narrazione, bensì far stupire il pubblico. Molti docenti di cinema lo hanno soprannominato il primo Spielberg della storia del cinema. Méliès è un medium, un illusionista (come Houdini) pertanto mettendo nei suoi film i suoi trucchi, la sua bravura, ne usciva qualcosa di originale e suggestivo.
Realizza 500 film ma il più importante rimane Le voyage dans la lune- Il viaggio nella luna del 1902 considerato il primo film di fantascienza. Una delle scene iniziali del film, la navicella spaziale che si schianta sull’occhio della Luna (che presenta un volto umano), è entrata nell’immaginario collettivo ed è una delle sequenze che hanno fatto la storia del cinema, si potrebbe anche definirla un elemento pop alla pari dei quadri di Andy Warhol. Le voyage dans la lune è costato la considerevole cifra di 10.000 franchi, spesi soprattutto per i costumi dei Seleniti e per le ricche scenografie dipinte. La pellicola è stata girata con una cinepresa fissa ed è priva di didascalie. Ma lo scopo di Méliès è quello di stupire il pubblico, entusiasmarlo, e con il genere fantasy ci è riuscito in pieno essendo uno dei primi a cimentarsi in questi nuovi mondi favolosi.
Più avanti la storia del cinema ci ha regalato e continua a regalarci, tantissime altre pellicole sul genere fantasy: dal Il Mago di Oz, alle creazioni Disney con Mary Poppins in testa, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Labyrinth, Conan il barbaro, La storia infinita, Willow, I Goonies, insomma tanti film e tante emozioni.
In molti di questi film così come in altre pellicole fantasy, non è un caso che i protagonisti sono bambini, S. Spielberg per esempio, ne ha fatto uno dei suoi più evidenti stereotipi cinematografici, in ambito accademico universitario lo si indica come il famoso Spielberg face– l’occhio di Spielberg.
Ciò perchè i bambini rappresentano il futuro, la speranza di un mondo migliore, ecco perché le sorti vengono affidate a loro. W. Benjamin in un suo scritto Sbirciando nel libro per bambini del 1926, ci diceva proprio questo:
La passione per l’infanzia e la fanciullezza non fiorisce da una vana curiosità. Nasce piuttosto da un profondo desiderio di resistere alle barbarie, trovando nei bambini un esempio di fuga dalla religione del capitalismo. Il bambino è l’unico a essere flàneur (vagare senza fretta, curioso, portatore di emozioni) senza che nessuno glielo abbia insegnato.